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Fallimenti truffa e aziende “spolpate”: imprenditori in lotta contro i tribunali – Extra – Martedì 4 Giugno 2024

Ogni anno in Italia falliscono alcune migliaia di aziende: nel 2023 sono state 5.468, in leggero aumento rispetto al 2022 ma in netta diminuzione (- 32,9%) rispetto allo stesso periodo del 2019 (pre-pandemia). I motivi per i quali un’impresa nel nostro paese può dichiarare default sono generalmente associati ad uno stato di profonda crisi economica, generata da errori e limiti gestionali ma, anche, da eventuali fattori contestuali. E generalmente è davvero così ma può anche capitare che una società finisca in liquidazione per motivi contingenti e non necessariamente perché versa in una condizione di crisi profonda, o si è imbattuta in gestioni scellerate o criminali.

Soprattutto in questi tempi di forti incertezze economiche, un’azienda può andare in crisi per fattori concomitanti e passeggeri e talvolta bastano davvero banali ritardi negli incassi per generare a cascata rallentamenti nei pagamenti ed infine esporsi al rischio di azioni giudiziari da parte dei creditori che possono avviare la procedura giudiziaria per ottenere quanto dovuto. Sarà banale ma proprio l’andamento dei fallimenti è una delle voci che più spesso viene monitorata per decretare lo stato di salute di una nazione e, più nello specifico, di un territorio. Ma allora quante aziende vengono dichiarate fallite perchè davvero in default? E chi assicura che i patrimoni vengano adeguatamente amministrati da chi deve gestire le messe in liquidazione e la ripartizione dei crediti?

In Italia, del resto, già oggi sarebbero centinaia gli imprenditori che hanno perso tutto ingiustamente, nonostante il fallimento della loro azienda sia stato gestito come prevede la legge da un tribunale: negli ultimi tempi hanno anche creato l’Associazione contro la Malagiustizia Italiana e ora chiedono alla politica di far luce su queste irregolarità. La mappa di queste irregolarità non conosce confini territoriali ma ci sono alcune regioni più esposte di altre. E per quanto possa apparire incredibile l’ipotesi che il sistema dei fallimenti aziendali sfugga ai controlli dello Stao e sia in mano a magistrati corrotti ancorché regolarmente in servizio, bisogna ricordare che non è la prima volta che si sollevano casi analoghi.

Il caso più eclatante riguarda proprio la Capitale e avvenne ormai 12 anni fa, provocando un vero e proprio terremoto giudiziario presso la Sezione Fallimentare del Tribunale di Roma rivelò un sistema di corruzione ben organizzato. Nel 2012 risultarono coinvolti in questo sistema commercialisti, avvocati, imprenditori, curatori fallimentari, un faccendiere svizzero e, soprattutto, un magistrato della stessa sezione: il caso, noto come “Fallimentopoli” o “la cricca” della Fallimentare, ha messo in luce un’organizzazione che lucrava sui procedimenti fallimentari delle imprese in liquidazione, con accuse principali di corruzione e peculato.

La Procura di Perugia ha iniziato un’indagine nel 2012, in seguito a diverse denunce su nomine sospette di curatori fallimentari da parte di un magistrato romano, portando alla scoperta di una truffa milionaria. L’operazione “Serial Giallo”, condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e coordinata dalla Procura di Roma, ha coinvolto quattro fallimenti truccati per un totale di 7 milioni di euro, tra cui Pasqualini Spa, Tecnoconsult Srl, Domitia Hospital Srl e Impresa Molinari. La frode consisteva nell’ammissione di creditori fittizi al passivo fallimentare con la complicità di avvocati e curatori infedeli, che distruggevano le risorse finanziarie rimanenti.

Le indagini hanno rivelato che, tramite documenti falsificati e perizie manomesse, i crediti fittizi venivano intestati a personaggi inesistenti, con il denaro trasferito su conti bancari svizzeri e ciprioti. Al vertice della frode vi era un giudice compiacente che permetteva queste manipolazioni. La Procura di Perugia ha ricostruito con precisione ruoli e funzioni dei partecipanti, evidenziando un sistema che ha minato il funzionamento corretto del Tribunale Civile di Roma.

Il giudice coinvolto, rimosso dall’incarico dal CSM, ha visto sequestrati beni per 1,5 milioni di euro. Le modalità della frode includevano la nomina di curatori infedeli, la redazione di atti falsi da parte degli avvocati, e l’inclusione di creditori inesistenti nei passivi fallimentari, con perizie falsificate a supporto. La velocità delle sentenze e l’assenza di verifiche sui crediti hanno facilitato la frode. Il caso più eclatante è stato quello della serie televisiva “Serial Giallo”, un errore che ha svelato l’intera operazione. L’inchiesta ha portato all’arresto di 14 professionisti, rinviati a giudizio per truffa, falso, peculato e riciclaggio presso il Tribunale di Perugia.

Da allora sono passati tanti anni ma in alcuni tribunali si continua a tramare nell’ombra, almeno stando ai racconti che gli imprenditori vittime di fallimenti truffa denunciano. In questa puntata di Extra, Claudio Micalizio intervista Paolo Bolici, imprenditore di spicco del panorama economico laziale e presidente dell’Associazione Contro la Malagiustizia Italiana. 

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