Lenti nell’adottare misure più incisive per contrastare il cambiamento climatico, che tutti i governi del mondo dicono di voler combattere, ma velocissimi a condannare chi, con forme di protesta pacifiche anche se spesso eclatanti e talvolta contro le leggi, manifesta per denunciare l’inerzia dell’azione politica.
E’ il paradosso di cui sono protagonisti i paesi occidentali dove, da qualche mese a questa parte, si sono moltiplicati gli interventi di repressione contro le mobilitazioni degli ambientalisti. L’ultimo caso eclatante riguarda la protesta messa in scena a Dubai da Extinction Rebellion lo scorso 9 dicembre: mentre era in corso il summit internazionale sul clima, in cinque città gli ambientalisti lanciavano un’azione di protesta non violenta all’insegna dello slogan “COP28: i governi parlano, la terra affonda”. Subito sono scattate le misure repressive culminate con l’arresto di 28 persone per le accuse di interruzione di pubblico servizio, violenza privata, manifestazione non autorizzata e sversamento di sostanze pericolose.
Le associazioni della galassia ambientalista e pure Amnesty International da tempo sono preoccupate e denunciano quella che definiscono una “allarmante tendenza alla criminalizzazione del dissenso” a cui si sta assistendo negli ultimi anni e che sta colpendo in particolare gli attivisti climatici anche quando si tratta di proteste non violente, ed è stato così anche in questo caso; a Dubai il “blitz ambientalista” è consistito nello sversamento in acqua di fluoresceina, cioè una sostanza innocua per flora e fauna: contemporaneamente, il fiume Po a Torino, il Tevere a Roma, il canale del Reno a Bologna, il naviglio a Milano e il Canal Grande di Venezia si sono tinti di verde e proprio la Laguna è divenuta il teatro deli arresti. E non sono mancati i paradossi: tra le persone fermate anche una musicista che ha preso parte all’azione semplicemente suonando il contrabbasso sulle note di “My heart will go on”, la colonna sonora del Titanic.
E hanno subito l’arresto e tre giorni di carcere anche i 12 attivisti di “Ultima Generazione” che nei giorni scorsi sono stati arrestati per un blocco stradale lungo l’autostrada A12 Roma – Civitavecchia. Dopo gli accertamenti e il processo per direttissima l’accusa nei loro confronti è stata rimodellata: caduta l’ipotesi iniziale di attentato alla sicurezza dei trasporti, resta quella di violenza privata. E non sono gli unici processi che, nel frattempo, sono stati allestiti per le proteste del gruppo ambientalista: sempre a Roma è in corso quello contro i tre membri di “Ultima generazione” che a gennaio 2023 avevano lanciato vernice lavabile contro la sede del Senato. Anche in questo caso rischiano di pagare un conto molto salato, forse più del valore stesso dei danni procovati alla facciata di Palazzo Madama che, alla fine, è tornata pulita nel giro di poche ore: i tre attivisti, tutti appena ventenni, rischiano fino a cinque anni di carcere con l’accusa di danneggiamento aggravato, imputazione più pesante rispetto al reato di “deturpamento e imbrattamento di cose altrui” in virtù dell’aggravante, introdotta con il secondo decreto sicurezza approvato nel 2019 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che il giudice ha voluto contestare nonostante i danni contenuti.
Ma allora in Italia il diritto al dissenso è a rischio? In questa puntata di Extra Claudio Micalizio ospita Riccardo Mercati, uno degli attivisti di Ultima Generazione arrestato e processato per il blocco stradale compiuto a Fiumicino lungo l’autostrada A12, quando tra l’altro un automobilista ha deliberatamente investito un manifestante che si era seduto a terra per bloccare il traffico.