Lavoro e povertà: dati preoccupanti e situazione non più sostenibile. La CUB lancia l’allarme
Ospite in collegamento Antonio Amoroso, Segreteria Nazionale Cub
In tema di povertà l’ISTAT ha rilevato che nel 2022 il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 800mila individui). A livello
nazionale la quota di popolazione a rischio di povertà rimane uguale all’anno precedente (20,1%).
Il 4,5% della popolazione (circa 2 milioni e 613mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ossia presenta almeno sette segnali di deprivazione dei tredici individuati dal nuovo indicatore (Europa 2030).
Il 9,8% degli individui vive in famiglie a bassa intensità di lavoro (indicatore Europa 2030), ossia con componenti tra i 18 e i 64 anni che nel 2021 hanno lavorato meno di un quinto del tempo.
La popolazione a rischio di esclusione sociale (indicatore composito Europa 2030), ovvero la quota di individui che si trova in almeno una delle suddette tre condizioni (riferite a reddito, deprivazione e intensità di lavoro), è pari al 24,4% (circa 14 milioni 304mila persone), pressocché stabile rispetto al 2021 (25,2%).
Questi sono solo alcuni dei punti evidenziati dalla Cub (Confederazione Unitaria di Base) nella “Nota sull’Occupazione e le condizioni dei lavoratori in Italia“.
Al problema della povertà e dell’esclusione sociale si affianca quello del cosiddetto “lavoro povero“: i lavoratori sotto la soglia dei 9 euro l’ora (comprensivi di 13esima) sono 2 milioni 841 mila;
i rapporti di lavoro con retribuzione inferiore ai 10 euro sono invece il 30,6% (per un totale di poco più di 6 milioni di rapporti) e coinvolgono quasi 5,2 milioni di lavoratori; sono 172mila i titolari di un rapporto di lavoro attivo che hanno avuto necessità di ricorrere al Reddito di cittadinanza, misura cancellata come sappiamo.
I motivi che sono alla base del fenomeno del lavoro povero, non dipendono esclusivamente dall’andamento del ciclo economico, ma sono il risultato di trasformazioni strutturali del mercato del lavoro rispetto alle quali lo Stato italiano non ha adottato misure adeguate, volte ad impedire fenomeni di pressione al ribasso sui salari.
Ci sono poi specifici sottogruppi colpiti in maniera peggiore dalla vulnerabilità lavorativa: in primo luogo tra i giovani fino a 34 anni, che in quasi quattro casi su dieci sono lavoratori non-standard (nel 2022 meno di 2 su 10 tra i 35-49enni e poco più di 1 su 10 tra gli over 50).
Tra chi ha responsabilità genitoriali i lavoratori non-standard sono il 16,2% (pari a quasi 2 milioni), tra chi vive in coppia senza figli il 17,5% e tra chi vive da solo il 18,8%; tali incidenze aumentano significativamente tra le donne, arrivando a circa il 24% in tutti i tre ruoli considerati.
Il 27,7% delle donne occupate sono lavoratrici non-standard (rispetto al 16,2% degli uomini), il 33,5% degli stranieri (19,6% degli italiani), circa un quarto dei lavoratori con basso livello di istruzione (17,3% dei laureati) e il 27,3% dei residenti nel Mezzogiorno (21,7% nel Centro e 17,6% nel Nord).
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